
Di Barbara Kornfeld
Il papa invita i Media a “casa sua” per ringraziarli dello sforzo di aver narrato il conclave, partendo dal Santo Natale, fino al fittissimo calendario di impegni che ha comportato la nascita in cielo di papa Francesco, lunedì in Albis 2025, dando un senso simbolicamente cruciale ai cristiani di tutto il globo. Un invito del genere non risulta indifferente neanche ad un ateo, figuriamoci a chi, come la sottoscritta, si è occupata per buona parte della sua vita di temi spirituali. Parallelamente immaginavo di apprestarmi a partecipare a molto più di una semplice festa di ringraziamento: il papa è un pastore, come tale ha il dovere di esprimere linee di indirizzo, pareri – anche se questi non gli tributano il consenso generale – cercare di indicare strade di conciliazione e pace. Di riflesso ho sentito il dovere di ragionare a fondo le modalità su come prepararmi a un evento del genere. Gli editori coinvolti nella vicenda sono stati due: il Bollettino Diocesano della Diocesi di Teggiano-Policastro e ADIM.
Mons. Antonio De Luca, Vescovo di Teggiano-Policastro, è uno dei miei massimi riferimenti spirituali: con lui ho ricevuto il sacramento della Confermazione, a centodieci chilometri dalla mia città di residenza. Questo non perché mancassero sacerdoti dove vivo, né perché siano mediocri, ma perché lui ha enorme volontà di ascolto, apertura e dedizione a progettualità per i poveri e i maltrattati, cultura, onestà di intenti e grande pazienza. Ricordo che più di dieci anni fa, nel periodo in cui aiutai una donna maltrattata dal marito, lo incontrai per intervistarlo per un progetto di incoming turistico. Spente le telecamere gli parlai di questa donna, appartenente alla sua diocesi: la stava già aiutando anche lui. Organizzammo un convegno su maltrattamento e abuso con esponenti di polizia, psicologi ed altri esperti provenienti da Salerno, lo scopo era di rompere il silenzio su un tema tristemente diffuso. Il marito maltrattante era seduto in prima fila, non ci perdeva di vista. Alla fine della serata si avvicinarono 3-4 donne di età che oscillava tra i venti e i settant’anni per confidare allo psicoterapeuta che subivano maltrattamenti dai rispettivi partner. Ho poi verificato che il Vescovo ha agevolato la nascita di un organismo territoriale dedicato al tema.
Con la benedizione di Mons. De Luca il viaggio in Vaticano ha assunto ai miei occhi un valore ufficiale. Il team di lavoro, in questa occasione, è stato di due persone, perché per tutta la durata degli eventi ho potuto contare sull’aiuto di mio padre Federico che si è occupato di seguire notiziari televisivi, radiofonici e controllare news estere, essendo lui bilingue. Papà però è invalido, dunque il primo problema da affrontare è stato quello logistico: anzitutto scegliere di viaggiare in treno per evitare il traffico stradale, accordarsi in tempo utile con la “Sala Blu” di Trenitalia per ottenere il servizio di elevazione che consentisse di elevare lui e il suo deambulatore dal marciapiede della stazione al treno (per tragitti più complessi usa la sedia a rotelle ma ha insistito per non portarla), scegliere un hotel sufficientemente vicino alla Stazione Termini per liberarci subito dei bagagli ed essere “operativi” fin dall’arrivo a Roma. Il problema più grande però è quello di far capire a una persona invalida che la disabilità è un fatto che riguarda una parte del corpo, non l’essenza dell’individuo: l’ho sempre osservato negli altri e l’ho sperimentato anche su me stessa dopo la mia chirurgia cranica, quando molti – parenti compresi – volevano convincermi che “fossi finita”, non più in grado, e dovessi rassegnarmi a fare la collaboratrice scolastica (ipotesi che ha fatto saltare sulla sedia il mio neurochirurgo, che è anche psichiatra e psicoterapeuta): su di me certe illazioni lasciano il tempo che trovano, sono abituata ad ambienti competitivi, anche se quando la competizione colpisce dall’interno duole; ho deciso però di trasformare le esperienze di vita in stimoli per aiutare le persone alle quali capitano circostanze similari e non hanno le mie risorse cognitive per reagire autonomamente.
Solitamente quando partecipo ad un evento solenne porto una discreta attrezzatura tecnica: più di una telecamera, cavalletto, microfono. In Vaticano però si gode i un ottimo supporto logistico: il discorso del papa è messo a disposizione degli operatori della comunicazione, come anche le foto. In questa circostanza ho portato due smartphone che realizzano foto e filmati in 4K: l’esigenza prioritaria è stata quella di stare più leggera possibile, soprattutto con la mente, per concentrarmi sui contenuti che avrebbe illustrato il nuovo Vescovo di Roma.
L’arrivo in Vaticano non è stato semplice: lunedì 12 maggio 2025 a Roma c’erano gli internazionali di tennis, la città era praticamente bloccata, impensabile usare il taxi. Ho fatto la doccia alle tre del mattino, sistemato documenti e bagagli e riordinato il bagno, così da lasciare campo libero a mio padre che lo avrebbe occupato due ore dopo; poi mi sono rimessa a dormire.
Alle sette meno un quarto avevamo lasciato il trolley alla reception e ci dirigevamo alla metropolitana. La parte più dura del percorso è stata Via Ottaviano: papà ha compreso perché avevo insistito per la sedia a rotelle, il percorso è troppo faticoso per lui con il sole che picchia. Giunti a ridosso di Piazza San Pietro, mi restava un ultimo step: ritirare gli accrediti in Sala Stampa in Via della Conciliazione. Un gruppo di Carabinieri, considerata la situazione generale e la logistica della sicurezza, ha proposto di lasciare mio padre con loro, accanto al furgone che avevano in strada, così avrebbero chiacchierato all’ombra. Quando sono tornata li ho trovati a ridere e scherzare.
Mio padre è agnostico, però conosce le Sacre Scritture meglio di me e ha una fiducia nella Misericordia di Dio che sfida l’assurdo: concetti che spesso non collimano con la concezione cristiana, però nel mare della misericordia ci finiscono comunque. L’idea che mi sono fatta, dai suoi comportamenti altruistici – soprattutto nei confronti di chi gli ha fatto del male – è che sia in cammino come ciascuno di noi: e nell’anno del Giubileo il Vaticano è il luogo simbolo del punto di arrivo di ogni cammino.
L’organizzazione logistica tra Stato italiano e Pontificio è un ingranaggio complesso e perfetto. Entrare a Piazza San Pietro comporta superare varchi simili a quelli aeroportuali, sistemati sotto il colonnato: polizia e carabinieri sono gentili, soprattutto con i portatori di handicap.
Quando finalmente siamo arrivati in prossimità della Sala Nervi, ho realizzato che molte delle guardie svizzere sono ragazzi giovanissimi: estremamente premurosi. Quando ci hanno visti arrivare, uno di loro mi ha chiamato ci ha accompagnato per la strada esterna, così da evitare a mio padre il disagio di dover scendere le scale. Gli hanno poi chiesto se avesse preferito restare seduto sul deambulatore: ha scelto una poltroncina qualsiasi. Il deambulatore è stato chiuso e riposto nel corridoio, prima che le porte fossero serrate.
In Sala Paolo VI si respirava aria di Festa: famiglie con bambini di ogni età, giovani, adulti, anziani, gente abbigliata in vari modi; tutti accomunati da volti sorridenti e dalla voglia di conoscersi, salutarsi, scambiarsi esperienze e confidenze in attesa dell’arrivo del pontefice. Mio padre, che inizialmente pensava si sarebbe annoiato, dopo qualche istante era intento in una fittissima conversazione con una giornalista RAI, un giovane reporter (che poi mi ha detto di chiamarsi Federico, come lui), con giornalisti statunitensi, tedeschi, svedesi. Il tema dominante era la pace nel mondo e i proponimenti per ottenerla. Io intanto gironzolavo per la sala a realizzare i contributi video e fotografici, ad osservare le persone, a cercare di imprimere nella memoria fatti e suggestioni da semplice spettatrice silenziosa: la mia esperienza di autore-regista documentarista mi ha spesso fatto prediligere lasciar scorrere gli eventi piuttosto che influenzarli, per coglierne l’essenza.
L’arrivo del papa ha segnato l’inizio della fase più significativa della giornata: il motivo per il quale i seimila partecipanti erano lì, ha iniziato scherzando in inglese, dicendo che l’applauso inziale vale poco, il valore si misura se la gente non dorme e conferma l’applauso alla fine di un discorso. Lo ha fatto introducendo il suo discorso in inglese, poi è passato a dare il benvenuto ai presenti in italiano citando il “discorso della montagna” in cui Gesù proclama la Beatitudine degli “operatori di pace” che sono coloro che effettuano un tipo di comunicazione che non cerca consensi, non aggressiva, non competitiva, che si fa portatrice di pace, che rinnega le guerre – con parole e immagini – che ascolta gli altri. Esprime solidarietà ai giornalisti incarcerati per aver cercato di raccontare la verità, ne auspica la liberazione e riconosce – come Chiesa – in questi testimoni il “coraggio di chi difende la dignità, la giustizia e il diritto dei popoli a essere informati, perché solo i popoli informati possono fare scelte libere”. La commozione provocata dalle sue parole, sincere e sentite, ha portato i presenti a interromperlo con applausi interminabili. Ha sottolineato che la sofferenza di quei giornalisti pesa sulla comunità internazionale ed è dovere di ciascuno custodire la libertà di espressione e di stampa, senza cedere alla mediocrità, ai linguaggi faziosi: lo stile è importante perché la comunicazione non è solo trasmissione di informazioni, ma creazione di cultura, ambienti umani e digitali che creano spazi di dialogo e confronto. Tema sempre molto caro al papa è l’intelligenza artificiale che ha un potenziale immenso ma che richiede responsabilità e discernimento per produrre benefici per l’umanità: è una responsabilità che riguarda chiunque, in proporzione all’età e ai ruoli sociali. Ha concluso richiamando i contenuti di papa Francesco nel suo messaggio per la “Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali”, cioè la necessità di disarmare la comunicazione da pregiudizi, rancore, fanatismo, odio, per renderla capace di ascoltare, di raccogliere la voce dei deboli: disarmando le parole si potrà contribuire a disarmare la Terra; una linea comunicativa del genere è coerente con la nostra natura umana perché offre altre visuali sul mondo, l’esortazione del papa è scegliere coraggiosamente la strada della comunicazione di pace perché coinvolti in prima linea nella narrazione dei fatti del mondo, dunque potenzialmente idonei a contribuire alla costruzione silenziosa di un mondo migliore.
Il contegno dei presenti, che all’arrivo del papa era stato “da protocollo”, è diventato sempre più familiare – quasi da beach party – perché alla fine del discorso del pontefice c’erano giornalisti in piedi sulle sedie a filmarlo e fotografarlo, papà che gli tendevano i bambini per farlo benedire, gente accalcata nella speranza di conoscerlo.
Mi sono voltata verso mio padre: “Vieni papà, andiamo a conoscere il papa”. Sapevo che era suo grande desiderio: mio padre ha vissuto molti anni negli Stati Uniti. Questo papa gli piace molto: il suo discorso in Sala Nervi ancora di più. Intanto il pontefice stava salutando il prefetto e il segretario del Dicastero per la Comunicazione, Paolo Ruffini e Monsignor Lucio Adrian Ruiz; il direttore della Sala Stampa del Vaticano, Matteo Bruni e il gesuita padre Federico Lombardi, presidente del Consiglio di Amministrazione della Fondazione Vaticana Joseph Ratzinger -Benedetto XVI, e la decana dei giornalisti accreditati alla Santa Sede Valentina Alazraki: a ciascuno ha donato un rosario. Ha poi ricevuto in dono una sciarpa delle Andedel Perù, una reliquia di papa Luciani e molto altro. Non siamo riusciti a conoscerlo perché è uscito dal fondo mentre stringeva mani e benediva il capo dei bambini neonati.
La temperatura esterna era proibitiva, soprattutto per il mio cranio – e i tumori al cervello dei quali sono tutt’ora affetta – ci siamo messi all’ombra. Ho meditato che a volte la felicità supera la stanchezza e quello è uno dei casi. Ho deciso di non realizzare interviste ad eventuali esperti per commentare il discorso del papa: i suoi contenuti sono chiari e valgono per chiunque, non solo per i giornalisti.
Ho accompagnato papà al lounge bar della Stazione Termini, poi mi sono diretta alla reception dell’hotel dove avevo lascito il nostro trolley. Quando sono tornata mio padre era con una coppia di giornalisti israeliani. Gli stava raccontando in inglese di quanto, secondo lui, la sensibilità del nuovo pontefice può influire positivamente sugli equilibri internazionali, “tenere a bada l’esuberanza del presidente degli Stati Uniti” e costruire ponti di dialogo. Quando sono andati via mi ha rivelato di avergli raccontato dei suoi nonni deportati e morti a Treblinka. Poi ha espresso soddisfazione per il fatto che quella coppia con la quale aveva riso e scherzato per mezz’ora, appariva diversa dai responsabili del genocidio a Gaza. Papa Francesco è stato il primo a definirlo tale. Mio padre ha sperato che papa Leone XIV riesca a influire sul percorso di pace al più presto.