Referendum Abrogativi 2025: perché bisogna recarsi a votare!

Di Barbara Kornfeld

L’esercizio del voto, prima che un dovere è un diritto fondamentale dell’individuo: ce l’ha ricordato la Festa della Repubblica Italiana – guarda caso a ridosso del prossimo Referendum Abrogativo – celebrata in pompa magna da Nord a Sud. Le immagini televisive hanno divulgato Arisa che intonava l’Inno di Mameli davanti alle più alte cariche dello Stato, con il presidente Mattarella sorridente e commosso; il maestro Nuti che dirigeva seimila coristi nell’esercizio dello stesso canto; i Vigili del fuoco che vestivano del tricolore il Colosseo, scena replicata in ogni città italiana, anche a Salerno, davanti alla Questura. Applausi, consenso popolare, eppure persiste sfiducia e ritrosia nell’esercizio di un diritto conquistato a fatica: lo ha spiegato benissimo Paola Cortellesi nel film “C’è ancora domani”, quando con un finale a sorpresa, invece di “fuggire con il presunto principe azzurro statunitense” decide di esercitare il diritto di voto, per la prima volta concesso alle donne, proprio quello referendario che avrebbe sancito la nascita della Repubblica Italiana. Si, perché la nostra Repubblica è nata da un Referendum, dalla decisione del popolo che ha espresso direttamente la propria volontà, quella che sempre meno il sistema elettorale attuale permette di esercitare direttamente.

Per questo esercitare la volontà diretta, esprimendo il voto in questo referendum, ha un valore storico, simbolico e identitario. Poco importa se si ha un parere favorevole o contrario: l’importante è recarsi a votare e comprendere i contenuti.

Un mese fa ho incontrato Benedetto Di Gregorio, Responsabile Nomine presidenti di Seggio dell’Ufficio Elettorale della Corte d’Appello del Tribunale di Salerno, per approfondire le tematiche inerenti il suo lavoro.

Barbara Kornfeld: La domanda è banale, Referendum dell’8 e 9 giugno, gli addetti ai lavori – in sostanza – cosa fanno?

Benedetto Di Gregorio: “Quando il Ministero dell’Interno pubblica l’indizione del Referendum, o le eventuali elezioni, la Prefettura comunica al Presidente della Corte d’Appello le date in cui si svolgeranno le votazioni. Il presidente della Corte d’Appello, di ciascuna Corte d’Appello italiana, consulta l’albo dei presidenti di seggio – che raccoglie nominativi e dati dei soggetti idonei a svolgere tale mansione – dunque li nomina a seconda delle sezioni dei Comuni in cui si dovranno tenere le elezioni o i referendum: in questo caso Salerno, ha centocinquantotto Comuni da gestire. Le nomine effettuate sono rese note ai singoli Comuni che provvedono a notificarle agli interessati entro trenta giorni dalla data degli eventi elettorali. L’ufficio di Presidente di Seggio è obbligatorio, tranne in specifici casi previsti – nei quali è possibile esercitare il diritto di rinuncia, documentando il genere di rinuncia – in tutti gli altri casi, la funzione di presidente di seggio è un obbligo. Accettata la nomina, il sabato precedente la data delle elezioni, il presidente di seggio è convocato dal sindaco del comune presso il seggio in cui è stato nominato, per ricevere il materiale elettorale: materiale consegnato da un suo delegato. Il plico si presenta sotto forma di sacco che contiene le schede elettorali, i verbali per le consultazioni, il materiale di cancelleria, le matite copiative, i manifesti da affiggere, e quant’altro riguarda l’attività del seggio. Il presidente di seggio costituisce il seggio alle ore 16:00 – del sabato precedente le votazioni – avvalendosi di un segretario di sua nomina, come fiduciario, e da tre scrutatori nominati dal sindaco del comune. Insediatosi il seggio cominciano le operazioni preliminari, ovvero verifica del materiale consegnato, per confronto con quanto elencato nel verbale, timbratura e vidimazione delle schede: essendo cinque referendum, bisognerà vidimare tante schede quanti sono gli elettori che voteranno in quella sezione (vale a dire che, se ad esempio in una sezione ci dovessero essere quattrocento elettori, le schede da vidimare sarebbero duemila). Le schede vanno vidimate e bollate. Dopodiché si dà inizio alla compilazione del verbale che è strutturato in modo da supportare l’utente nella compilazione perché ha parti precompilate: bisogna solo aggiungere i dati variabili, completando il formulario (dov’è ubicata la sezione, numero della sezione, componenti del seggio, e le notizie utili alla consultazione). Terminate queste operazioni, il presidente di seggio si preoccupa di sigillare porte e finestre del seggio, tenendo le luci accese per dar modo alle forze di polizia di controllare che non entri alcuno all’interno e rimanda le attività all’indomani. Alle sette di giorno otto giugno si insedia il seggio del referendum: è consigliabile andare qualche minuto prima per essere operativi per la votazione all’orario previsto. Gli elettori entrano nella sezione dove votano se muniti di scheda elettorale e documento valido. Lo scrutatore prende nota sulla lista elettorale del numero della scheda elettorale, annota su un opuscolo il numero della scheda elettorale e il numero progressivo dell’elettore, così da avere la certezza che quell’elettore con quel numero della lista ha votato. Appena identificato, l’elettore riceve dal presidente le schede con la matita e l’indicazione della cabina nella quale poter esercitare il diritto di voto. Le schede andrebbero consegnate preferibilmente aperte all’elettore, ma non necessariamente. L’elettore in cabina vota e richiude le schede, quindi esce e consegna le schede al presidente che le inserisce nelle urne: in questo istante si perfeziona la votazione. Il presidente riconsegna all’elettore il documento d’identità e la scheda elettorale, bollata con la data del referendum. A tale proposito il comune fornisce un apposito timbro con la data; dunque, sulla scheda verrà apposto sia il timbro con il numero della sezione, sia la data: ovviamente potrà essere otto oppure nove giugno, a seconda dell’ipotesi di voto domenica oppure lunedì. Dunque, l’elettore può lasciare il seggio. Questo l’iter fino alle ore 23:00 di domenica otto giugno 2025. In quel momento, casomai all’interno del seggio non fossero presenti elettori, il presidente dichiara chiusa la votazione, chiude il verbale, sigilla nuovamente il seggio nelle modalità del giorno prima e raccomanda alle forze dell’ordine di vigilare sul seggio prima di poter andare a casa. Il giorno seguente alle sette il seggio deve essere nuovamente operativo, ripetendo la stessa procedura del giorno precedente.”

Barbara Kornfeld: Cosa succede se l’otto giugno hanno votato tutti gli elettori di quella sezione?

Benedetto Di Gregorio: “Poniamo questa ipotesi assurda: se tutti gli elettori dovessero votare non si può chiudere il seggio fino alle ore 15:00 del lunedì perché in quella sezione potrebbero andare a votare le forze dell’ordine, oppure persone che si trovano lì in situazioni casomai particolari (o con l’attestazione del sindaco o persone con particolari patologie, e quindi quella sezione è destinata a far votare anche quelle persone).”

Barbara Kornfeld: Quindi il presidente ha a disposizione più schede di quelle risultanti dalle liste elettorali del comune. E il presidente e i componenti del seggio, desumo che non votino nei propri seggi di appartenenza abituale, vero?

Benedetto Di Gregorio: “Il presidente e tutti i componenti del seggio votano nella sezione in cui prestano servizio. È chiaro che – tornando all’esempio di cui sopra – se ipotizziamo quattrocento elettori, dobbiamo autenticare sei schede in più per un totale di ulteriori trenta. E bisogna annotare in calce alla lista, continuando con il numero progressivo, il nominativo degli elettori votanti aggiunti”.

Barbara Kornfeld: Lei è Responsabile dell’ufficio elettorale per il Tribunale di Salerno, che rapporto hanno i Presidenti di Seggio con lei? E che responsabilità assume lei sul loro operato?

Benedetto Di Gregorio: “Parliamo di Corte di Appello perché l’ufficio di secondo grado è della Corte di Appello che si occupa della nomina dei Presidenti di Seggio. Svolgo questo lavoro da circa venti anni: conosco buona parte dei presidenti di seggio – più o meno sono sempre i soliti – quest’anno abbiamo variato leggermente il criterio perché il referendum non presenta particolari difficoltà e questo ci ha offerto la possibilità di nominare presidenti giovani, con poca o alcuna esperienza, così che potessero cominciare a farsi le ossa, cominciare a fare pratica. Sono sempre disponibile per chi ha bisogno di consigli, ho fatto la prima volta il Presidente di Seggio a diciannove anni di vita, ora ne ho sessanta sei, si figuri quante volte l’ho fatto: è un servizio molto delicato, in quanto abbiamo contatti con la Prefettura – ci interscambiamo le notizie perché anche loro sono coinvolti in quest’attività – tra Presidente della Corte e Prefetto, come organi apicali di questi uffici”.

Barbara Kornfeld: è possibile il riconoscimento a vista dell’elettore?

Benedetto Di Gregorio: “Si, purché l’elettore abbia la scheda elettorale e sia riconosciuto da uno dei membri del seggio. La responsabilità del riconoscimento verrà assunta dal membro del seggio che ha riconosciuto l’elettore con apposita firma nelle note. Dunque, è possibile votare senza documento identificativo ma non senza scheda elettorale, casomai il soggetto è noto ai membri del seggio. Questo avviene molto nei piccoli comuni, nei paesi piccoli, come quelli del Cilento, dove si conoscono per soprannomi”.

Barbara Kornfeld: Altra tematica, la leggibilità della firma. Quanto è importante la leggibilità della firma, in quanto identificativa della persona?

Benedetto Di Gregorio: “La firma è parte di sé stessi, se uno mette una sigla è chiaro che sarebbe incomprensibile – anche noi a volte sigliamo i documenti invece di firmarli però apponiamo il timbro dell’ufficio – in tutti gli altri casi una firma deve avere un minimo di leggibilità. Altra tematica è l’introduzione della scheda nell’urna perché spesso in televisione si vedono i politici che fanno la foto mentre esercitano il diritto di voto. Non è possibile però fare in questo modo, perché la legge dice che l’elettore – espresso il voto – deve consegnare al presidente la scheda elettorale che provvede alla verifica delle schede – per capire se le schede che gli sono state riconsegnate dall’elettore sono le medesime che gli ha fornito e non siano viceversa state sostituite – questo per dire che in ogni frangente c’è una logica e delle regole, non è che si fa tutto per caso. Molti elettori contestano di averlo sempre fatto, ma la regola è diversa: purtroppo ci sono anche cattivi esempi, per giunta divulgati dai media”.

Altra tematica importante è che in cabina elettorale non si possono portare smatphone e tablet: sono previste ammende per chiunque tentasse di scattare foto o filmare la scheda del referendum. Il presidente di seggio è tenuto ad avvisare i votanti e a trattenere i dispositivi, restituendoli, assieme ai documenti, quando escono dalla cabina elettorale.

Quanto al contenuto del Referendum i quesisti sono cinque. Chi vota “SI” sceglie di far abrogare i contenuti, ovvero leggi esistenti. Chi vota “NO” è intenzionato a non annullare le leggi esistenti nel modo in cui sono formulate attualmente. Per validare i referendum è necessario che vadano a votare la metà più uno degli aventi diritto.

L’elettore ha facoltà di farsi consegnare anche meno schede di quelle previste, votando solo per i quesiti di proprio interesse. Il quorum si calcola separatamente per “ciascun referendum”: vale a dire che ogni scheda esprime lo svolgimento di un referendum, ed è legittimo per la legge decidere di votare per tutti e cinque i referendum – scelta consigliata a mio parere – oppure decidere di votare per meno quesiti, facendosi consegnare solo le schede d’interesse. L’atto produce conseguenze: chi non ritira una scheda non concorre a essere conteggiato nel quorum di quel quesito; quindi, il proprio voto vale solo per i quesiti sui quali si esprime il proprio giudizio. Coloro che invece ritirano le schede e le lasciano in bianco, vengono conteggiati al fine del quorum, ma non stanno di fatto esercitando il proprio diritto di voto: anche questo atteggiamento a mio avviso è opinabile, non tanto per il senso civico, quanto perché è inutile lamentarsi delle sorti dello Stato se poi non esercitiamo la nostra volontà popolare quando ne abbiamo occasione.

Scendendo nello specifico i contenuti sintetici del referendum sono i seguenti:

  1. SCHEDA VERDE CHIARO= Concerne il “Contratto a Tutele Crescenti”

Se dovesse vincere il SI verrebbe abrogato il decreto legislativo n.23 del 2015, del Governo Renzi, inserito nel Jobs Act e si tornerebbe alla normativa precedente – non all’articolo 18 dello statuto dei lavoratori – ma alla versione che aveva in prima battuta modificato nel 2012 la riforma Fornero. Il decreto legislativo in atto vale per le aziende con più di quindici dipendenti, per coloro che sono stati assunti dopo il 7 marzo 2015: il suo contenuto ha profondamente modificato la tutela contro i licenziamenti illegittimi, sostituendo la possibilità di reintegro del lavoratore con un indennizzo economico da un minimo di sei mesi a un massimo di trentasei mesi, a seconda dell’anzianità di servizio. Il reintegro è previsto solo per i casi di licenziamento discriminatorio e licenziamento nullo. La vittoria del SI darebbe opportunità ai magistrati di ampliare il ventaglio di opportunità in cui reintegrare i lavoratori, limiterebbe i casi in cui il lavoratore sarebbe esposto al rischio di licenziamento per futili motivi o soggetto ad abuso, lo tutelerebbe contro indennizzi discriminatori per i lavoratori con bassa anzianità di servizio e incentiverebbe la denuncia da parte dei lavoratori senza paura di ritorsioni da parte dei datori di lavoro. A favore del NO si schierano coloro che pensano che la flessibilità dei lavoratori in uscita dalle aziende possa incentivare gli imprenditori ad assumere più facilmente con contratti a tempo indeterminato, mettendo fine a rapporti logori con incentivi economici che allineerebbero l’Italia agli standard europei.

  • SCHEDA ARANCIONE= Concerne i “Licenziamenti nelle piccole imprese”, ovvero quelle con meno di quindici dipendenti, pari a quasi quattro milioni di lavoratori italiani. La normativa prevede un risarcimento di sei mensilità di stipendio come range estremo con eccezioni che portano alcuni lavoratori – in via eccezionale – a percepire quattordici mensilità. Il reintegro non è previsto indipendentemente dall’abuso subito. In caso della vittoria del SI verrebbe abolito il massimale delle sei mensilità: il magistrato potrebbe decidere quante mensilità far percepire a titolo di indennizzo al dipendente in base all’età, le condizioni di salute, quelle familiari, l’anzianità di servizio, le dimensioni aziendali. Coloro che sono a favore del NO, sostengono che abrogare tale legge potrebbe scoraggiare la nascita delle microimprese e sfavorire quelle esistenti, già in situazione estremamente critica.
  • SCHEDA GRIGIA= Concerne i “Contratti a Termine” che regolamenta i contratti a tempo determinato che riguarda quasi due milioni e mezzo di italiani.

La normativa attualmente prevede che vengano stipulati contratti a termine fino a dodici mesi, senza la necessità di specificare la causale, ovvero il motivo per il quale è stato stipulato il contratto temporaneo. Casomai vincesse il SI ripristinerebbe l’obbligo di indicare la causale che motiva il carattere temporaneo del rapporto di lavoro, anche per contratti inferiori a dodici mesi, ciò porterebbe a una riduzione della precarietà, perché spesso i contratti a termine vengono utilizzati da interfaccia per coprire situazioni permanenti (questo genere di contratto dovrebbe essere l’eccezione, non la regola, basti pensare ai dipendenti ATA di terza fascia che così non accumulano mai anzianità di servizio idonea ai fini pensionistici). I sostenitori del NO controbattono che le causali sono spesso oggetto di contenzioso legale, che incentiverebbero il lavoro irregolare.

  • SCHEDA ROSSA= Concerne la “Responsabilità negli Appalti”, ed è inerente alla sicurezza sul posto di lavoro nel settore degli appalti: le cronache stimano mille decessi l’anno a fronte di cinquecentomila infortuni.

La legge attuale sancisce che il committente è responsabile con l’appaltatore per i danni subiti dai lavoratori non coperti da INAIL: questa responsabilità non si applica ai rischi specifici delle attività delle imprese appaltatrici o sub-appaltatrici. Questo cavillo è oggetto di referendum abrogativo. Coloro che sono a favore del SI suppongono che i committenti selezionerebbero aziende appaltatrici che garantirebbero ai lavoratori standard più elevati di sicurezza, oltre a garantire adeguati risarcimenti ai dipendenti in caso di infortunio. A favore del NO, coloro che ritengono che il committente non debba interferire nelle attività dell’appaltatore e che i costi potrebbero aumentare a dismisura per garantire standard di sicurezza elevati.

  • SCHEDA GIALLA= Concerne la “Cittadinanza”, ovvero i requisiti per ottenere la cittadinanza italiana. La legge che disciplina questa materia era rimasta invariata dal 1865 al 1992, quando fu deciso l’innalzamento temporale da cinque a dieci anni del periodo di residenza legale in Italia, per poter richiederne la cittadinanza da parte di un extracomunitario, questo fermo restando gli altri requisiti: assenza di motivi ostativi per la sicurezza nazionale e precedenti penali, reddito adeguato, assolvimento degli obblighi fiscali, conoscenza della lingua italiana.

Se vincesse il SÌ, basterebbero cinque anni per presentare domanda di cittadinanza italiana, fatto che coinvolge due milioni e mezzo di persone che lamentano che spesso la burocrazia eleva a dodici anni di attesa il loro percorso, i loro sostenitori affermano che contribuiscono alla società italiana, e cinque anni sarebbero sufficienti a valutarne la condotta; il SI allineerebbe l’Italia agli standard di alcuni paesi europei. A favore del NO ci sono coloro che ritengono che ridurre i termini per la richiesta di cittadinanza possa provocare un grosso afflusso di gente extracomunitaria in Italia, inoltre molti paesi comunitari hanno lo standard settato su dieci anni, mentre altri esteri – Stati Uniti in primis – richiedono dai dieci ai venti anni per permettere agli italiani di richiedere la cittadinanza.

Articoli collegati