__________________________
Di Barbara Kornfeld
Martedì 29 ottobre il nucleo NAS dei Carabinieri e la Procura di Salerno hanno notificato dieci ordinanze restrittive, concernenti arresti domiciliari per Sante Sica – nato a Montecorvino Rovella il 18 novembre 1960 – privo di cariche formali ma vertice della struttura, obbligo di firma e divieto di esercitare la propria professione all’interno della casa di riposo “Istituto Europeo della Terza Età” di Salerno. Tra i dieci soggetti coinvolti, anche una donna di Verona; l’accusa per loro è pesantissima: sequestro e violenza su anziani.
Dalle indagini condotte dai Nas di Salerno e dai militari del Gruppo Tutela Salute di Napoli è emerso un quadro sistemico di violenza e abusi, consistenti in anziani legati ai letti o alle sedie a rotelle (utilizzando stracci o vecchi maglioni), costretti a dormire su materassi intrisi di urina, uno di loro esposto alle intemperie fuori dalla struttura di notte, spesso nudi, senza riscaldamento e acqua calda. Pare che un’anziana si sia addirittura suicidata per sottrarsi a quel supplizio.
Alle carenze strutturali e igienico-sanitarie si aggiungono varie aggravanti: la scarsa qualificazione del personale, la carenza numerica degli stessi, le logiche di massimizzazione del profitto – in base alle quali veniva accettato ogni genere di ospite, anche coloro affetti da patologie o in fin di vita – l’aver approfittato della fragilità di persone impossibilitate a chiedere aiuto o denunciare gli accadimenti a causa delle proprie condizioni psichiche, familiari, sociali.
Tempestiva l’azione del settore Politiche Sociali del Comune di Salerno che – non badando al fatto che la struttura era privata – si è attivato, attraverso le proprie assistenti sociali, per congiungere gli anziani alle proprie famiglie e trovare una sistemazione adeguata a coloro che non godono di una rete familiare a sostegno. L’assessore alle Politiche Sociali, Paola De Roberto, ha fatto sapere che è stata revocata la licenza e chiusa immediatamente l’attività.
La vicenda di Salerno è dunque a lieto fine, ma le statistiche basate sulle segnalazioni dei geriatri indicano un anziano su tre maltrattato, e uno su dieci coinvolto in storie di abuso nelle case di riposo e RSA: dati ufficiosi perché intorno al fenomeno c’è omertà e difficoltà nell’accertare i fatti.
Prendendo come spunto questo grave fatto di cronaca sarebbe opportuna una riflessione approfondita sulla condizione degli anziani e i rischi ai sono esposti quando si sceglie di affidarli alle cure di una casa di riposo o di una RSA. Ben s’intende: non tutte le strutture sono così ma scegliere di affidare alle loro cure un parente è una scelta di vita che va comunque ponderata, e soprattutto la persona protagonista dovrebbe essere non solo d’accordo ma anche entusiasta della decisione.
Avere un anziano in casa non è impresa semplice, soprattutto se anche chi dovrebbe occuparsene ha problemi di salute gravi – ma non tali da garantirgli benefici di legge – è in questi casi che comincia ad arrivare da più parti il consiglio di affidare le cure di quella persona a “mani esperte e amorevoli”.
“Starà benissimo”, “meglio che a casa” a questo si aggiunge immancabilmente il coro dei vari “pensa a te”. Sono scelte dolorose che lacerano la mente e il cuore.
Da documentarista ho girato molte strutture all’interno della Regione Campania: lo feci quando – da ghost writer avevo l’incarico di realizzare un prodotto per conto terzi sulla creatività negli anziani – ciò che ricordo mi ha segnata per le scelte future. Giunti in una RSA nell’hinterland di Napoli – una graziosa villetta con un’ampia veranda dotata di comode poltrone elettriche e megaschermo TV – accendemmo un faretto per illuminare meglio la penombra della sala per le interviste. Quasi tutte le teste inclinate verso le ginocchia si sollevarono verso quella fonte luminosa. Una signora esclamò: “Luce!”, un’altra chiese alla OSS la scatola del trucco. Era come se un insieme di mummie ridiventasse umana. Una massa di strati di apatia fu rimossa istantaneamente dai loro volti per il solo gesto di accensione di un faretto.
Quando scoprii di essere affetta da tumori al cervello, stavo curando l’invalidità grave di mio padre: i primi a consigliarmi di metterlo in una struttura furono i medici. Ripensai a quelle esperienze pregresse, a quanto mio padre amasse la sua libertà personale: immaginai che avrebbe vissuto il soggiorno in una casa di riposo come una sorta di reclusione e abbandono da parte della famiglia. Non ho seguito il consiglio. Esempi a supporto della mia ipotesi ne avevo fin troppi: diversi casi di donne e uomini di diverse età, anche centenari, che dopo meno di mese di soggiorno in una RSA si sono lasciati andare. Non sono casi di carenza da parte delle case di riposo ma di depressione e sindrome da abbandono che vivono i pazienti. Come ho fatto a sottopormi a chirurgia cranica a Siena con un invalido grave cui badare? È stata una vera e propria avventura: ho dovuto rimandare la chirurgia tre volte, con un rischio altissimo per la mia incolumità. Ad aggravare i fatti era il 2021, in pieno Covid 19 e tutto era molto complicato. Ho chiesto aiuto a tutti coloro che mio padre aveva aiutato nel corso della sua vita: volevo lo ospitassero “a pagamento per una quindicina di giorni”. Ho ricevuto solenni rifiuti con motivazioni strampalate: anche le organizzazioni ecclesiastiche che ho contattato non mi hanno dato esito positivo. Intanto ero sempre più debole e vicina allo scadere del tempo limite prima che il tumore “mi finisse”. Ho potuto contare su pochissimi amici che mi hanno teso una mano. Alla fine, per grazia ricevuta, mio padre non è stato ospitato in una struttura diversa da una casa di riposo in Toscana, per dieci giorni da solo: sono stata dimessa con il protocollo ospedaliero da finire e l’ho raggiunto nella struttura. Abbiamo soggiornato lì per una quarantina di giorni prima di rientrare a Salerno. La vita con un anziano non è semplice, ma quando leggo epiteti sui social di gente che festeggia compleanni “postumi” di genitori scomparsi, si rafforza la mia convinzione che meglio un fiore in meno e un gesto in più, quando i parenti sono vivi: tutto torna.