
Di Barbara Kornfeld
Passato pressappoco un mese dalla Santa Messa di Intronizzazione di Papa Leone XIV, quella che ha segnato l’inizio ufficiale della sua missione da pontefice, approfitto per narrare il dietro le quinte di quella che si è rivelata un’avventura faticosa ma che ripeteremmo volentieri, e che a voi lettori offre un quadro ampio sugli scenari delineati sugli orientamenti del nuovo Vescovo di Roma.
Domenica 18 maggio 2025 l’avventura ha coinvolto mio padre Federico, presente a tutte le fasi del Conclave, ed è cominciata alle tre del mattino, quando ci siamo organizzati logisticamente per affrontare una giornata lunga, che avrebbe comportato la trasferta in treno fino a Roma, il coinvolgimento di Taxi, di elevatori per agevolarne l’entrata in treno, metropolitana per non restare intrappolati nel traffico di Roma. Abbiamo portato la sedia a rotelle: sei giorni prima – quando siamo stati ricevuti in Sala Nervi – l’uso del deambulatore era stato problematico. Per vincere la sua ritrosia a sottopormi sforzi proibiti dal mio neurochirurgo ho proposto un compromesso: mi avrebbe aiutato a spingere la carrozzella, considerato che ha deficit alle gambe ma non alle braccia, ed il tratto da coprire sarebbero stati gli ottocento metri di Via Ottaviano, dalla metropolitana a Piazza San Pietro.
Alle 4:30 a.m. eravamo in taxi. Gli addetti della Sala Blu della stazione di Salerno sono molto gentili, al pari di quelli di tutte le stazioni d’Italia: giovani, allegri. Mio padre ha cominciato a interagire, scambiare battute, dirigerli sul livellamento a mano della pedana che lo stava elevando in treno, tra risate e goliardia generale (e il mio sguardo vigile affinché non si esagerasse da ambo le parti, fatti che possono accadere quando si lavora all’alba).
Avevo intenzione di arrivare a Piazza San Pietro il prima possibile per conoscere il papa di persona, intenzione che si è scontrata con il tempo tecnico che ci hanno sottratto gli addetti della metropolitana che hanno opposto dubbi sul passaggio ai tornelli: poi ci hanno trattenuti per consigliarci di non tornare con quella linea specifica perché “sicuramente” sarebbe stata troppo affollata alla fine della funzione, quindi ci hanno indicato il nome di un sito che non ho mai frequentato che avrebbe l’ascensore al posto degli elevatori elettrici. All’uscita a Via Ottaviano mi ha colpita un loro addetto che indicava ai turisti di entrare dall’altra parte della strada: aveva lo sguardo distante, voce gentile, occhi tristi. Ci ha detto che al rientro saremmo potuti passare di là perché dall’altra parte non avremmo trovato strumentazione tecnica.
Giungi in prossimità di Piazza San Pietro abbiamo scoperto di dover fare un percorso aggiuntivo per giungere ai passaggi degli accrediti stampa: ho cercato di accelerare il passo. Poi ho realizzato che la stampa era stata posizionata sui tetti. Abbiamo deciso di andare dall’altro lato del colonnato.
Siamo stati accolti con un radioso “benvenuti” da un ragazzo giovanissimo in frac, che ha sorriso e ci ha lasciato passare sotto il quadrante dei diplomatici, assieme a un piccolo gruppo di portatori di handicap. Mai avrei immaginato che le discendenze di papà, nipote della proprietaria di una banca viennese – proveniente da Rowno, in Polonia, nel 1924 – avrebbero assunto peso nella mia esistenza.
Decido di spingermi più vicino all’ingresso della Basilica, immaginando che al passaggio del papa avrei potuto parlargli. Qui incontriamo un signore in frac, ugualmente gentile che ci informa che il papa è passato dieci minuti prima ed è appena andato a cambiarsi: ringrazio mentalmente i disguidi ai tornelli della metropolitana e mi concentro sul presente. Una signora comincia a imprecare contro di lui: ci sono le statue “lei e sua madre in carrozzella non vedono il papa”. Il signore in frac è mortificato, non riesce a placarla. Cerco di distrarlo. Ad ogni indicazione, ovviamente lo ringrazio, lui si lascia andare e mi dice: “lei mi ringrazia, la signora mi accusa per le statue”. Intanto la tizia sta andando via perché vorrebbe che le dessero “un posto in prima linea”, linea che non esiste. Guardo il mio interlocutore, sorrido e gli dico la verità: “Guardi, questi sono eventi che si vivono con il cuore e lo spirito, non con gli occhi. Le statue sono qui da centinaia di anni. Mio padre ha problemi di vista, senza il megaschermo neanche riuscirà a seguire la Santa Messa, in più è agnostico, ma era addolorato per la morte di papa Francesco e gli piace molto papa Leone XIV. Non è colpa sua se la signora va via, ognuno ha il suo percorso spirituale e di vita. Dio vede e provvede”. Si è commosso, anche se penso di non aver detto nulla di eccezionale. Il fatto importante è che si è ripreso, mentre meditavo quanto l’essere umano possa essere ingrato: queste persone sono abbigliate in maniera impeccabile ed esposte a temperature ambientali proibitive, nonostante ciò, per lavoro sono gentili ed accoglienti nel servire i pellegrini e subirne il malumore, spesso il fanatismo. Dopo questa parentesi è andato a prendere una balla di bottigliette d’acqua fresca per impedire che ci disidratassimo. È arrivato un suo collega che voleva portarle ai diplomatici, ha risposto: “no, queste sono per loro, i diplomatici possono attendere qualche altro minuto; serviti dell’automobilina per andare a prendere più di una balla là in fondo”. Poi ne ha porta una a mio padre – non conoscendone l’indole goliardica – quando ha ringraziato della gentilezza ricevuta, l’uomo ha risposto: “ho fatto metà del mio dovere”, mio padre, prontamente: “allora faccia il doppio così si sente a posto!”, hanno iniziato a ridere e a scherzare fino all’uscita del papa sull’altare. Quando ho visto che i simboli dell’intronizzazione ripercorrevano alcuni tratti di Giovanni Paolo II, mi sono sentita al centro del Mondo: fatti che non ripeto perché i Media ne hanno notiziato per ore e giorni. Nel backstage intanto tutto era ordinato, silenzioso e rispettoso. Un giovane ufficiale della gendarmeria Vaticana ha invitato uno degli ospiti a lasciare il sito: parlava a telefono in viva-voce senza curarsi dello svolgersi della Santa Messa. Il fatto che mi ha colpito positivamente è che lo ha prima invitato con estrema dolcezza a smettere, poi senza minima traccia di rancore, ma con fermezza lo ha invitato a seguirlo fuori. Non si può dire che siano rigidi – ho potuto realizzare foto e filmati: rispettando però lo svolgimento della Santa Messa. Né si può dire che non comprendano i singoli casi: papà ha problemi di udito; quindi, a un certo punto ha visto arrivare un gruppo di diplomatici e ha creduto che la funzione fosse finita, dunque, si è spostato per chiedere un’altra bottiglia d’acqua. L’ho raggiunto per spingerlo di nuovo al suo posto, bottiglia alla mano, poi ho fatto un cenno di scuse alla guardia che ha sorriso e mi ha fatto cenno di non preoccuparmi. La stessa guardia mi ha consigliato di scrivere una lettera al papa per raccontargli ciò che vorrei dirgli di persona, chiedendogli un incontro: questo mentre papà scherzava e rideva con un giovane prete brasiliano che studia in Vaticano.
Siamo infine tornati alla stessa fermata della metropolitana, dopo aver pranzato: lì la mia giornata ha assunto un senso diverso. Mio padre, preoccupato della mia stanchezza, ha detto al ragazzo con gli occhi tristi: “pensi anche a mia figlia, sta male in salute anche lei”. Il ragazzo mi ha guardato un attimo e ha subito distolto lo sguardo. Gli ho detto: “Si, in effetti mi hanno tolto un tumore al cervello, ne ho qualcun altro ma niente di grave finché sono qua”. Gli sono venuti gli occhi lucidi: “Ho perso la mia ragazza con un tumore al cervello”. Mi sono fermata. I conti sul suo sguardo, la gentilezza, la voce monocorde: tutto tornava. Ho messo le mani in tasca: c’era una corona del rosario benedetta di Guardia Sanframondi, in provincia di Benevento. Quella dei discussi Riti Settennali dell’Assunta. Don Giustino, parroco del posto me ne aveva regalate due: una l’avevo data a una malata di cancro, quella la tenevo sempre con me. C’è il detto di un parroco toscano che mi ha raccontato un mio amico che combatte il tumore all’ipofisi: “la Madonna va dove vuole”. Era il momento che la Madonna andasse a portare speranza e conforto a quel ragazzo. Gli ho detto: “Non pensare alle dicerie che potresti leggere su questi riti, è un atto penitenziale che fanno ogni sette anni. Concentrati sulla preghiera, sei a Roma, pensa alla speranza nell’anno del Giubileo. La rivedrai”. Si è commosso. Ci ha seguito fino all’estremità del settore, dov’era l’altro elevatore. Ho ripetuto l’ultima frase: “La rivedrai” mentre lui annuiva sorridendo. Poi mi sono concentrata sulla sua collega che mi rimproverava per non essere andata all’altra fermata, ed essere tornata là. Le ho garantito che quando abbiamo lasciato Piazza San Pietro era quasi vuota, e quelli rimasti stavano attendendo per passare la porta Santa.