Mela Annurca eccellenza campana che fa bene alla salute

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Di Barbara Kornfeld

Chi la degusta probabilmente non immagina che ha rischiato l’estinzione dopo la Seconda Guerra Mondiale e fronteggiato varie minacce, tra le quali il colore e le dimensioni di una varietà statunitense, ed il colera che colpì Napoli ad agosto 1973; anche per questo dal 2006 è un prodotto IGP (Indicazione Geografica Protetta, provvedimento: Reg. CE n.417 del 10/03/2006): la melannurca, anche detta mela annurca campana” perché è un prodotto ortofrutticolo pregiato tipico di questa regione, presente fin dall’età preromana, tant’è che il prezioso frutto è raffigurato in varie domus all’interno degli scavi archeologici di Pompei ed Ercolano, soprattutto la Casa dei Cervi. Una prima traccia delle sue origini la dobbiamo a Plinio Il Vecchio, nel I secolo d.C., quando ne parla nel suo trattato, ipotizzandone l’origine nella zona di Pozzuoli.

Al di là delle digressioni storiche, le melannurca è deliziosa e molto salutare, tant’è che è utilizzata per la preparazione di diversi integratori. È utile per contrastare il colesterolo alto (ne bastano due al giorno, secondo i medici), la caduta dei capelli – che fa anche risplendere nel senso di luminosità della fibra capillare – in quanto contiene un elevato contenuto di polifenoli (Procianidina B2) che non solo contrasta la caduta ma favorisce la ricrescita dei capelli, ha proprietà diuretiche, rinforza i muscoli, ha potere antiossidante, è indicata nella dieta dei diabetici. La sua buccia contiene vitamina C che potenzia le difese immunitarie, proteggendo l’organismo dalle infezioni, è ricca di acido ossalico, che favorisce l’igiene del cavo orale e sbianca i denti.

È facilmente riconoscibile, in quanto piccola, rossa, di forma asimmetrica, croccante, vagamente acidula e succosa: piace a adulti e bambini, in cucina è estremamente versatile, sia per ricette dolci che salate.

Il consorzio di tutela della Melannurca Campana IGP è sorto nel 2005 a Caserta (http://www.melannurca.it) è attualmente rappresentato legalmente da Giuseppe Giaccio: il ruolo del consorzio è fondamentale perché questo frutto condensa l’ottanta per cento della produzione di mele regionale e il cinque per cento nazionale, con un indotto pari a quaranta milioni di euro, corrispondenti a circa sessanta mila tonnellate annue.

La superficie occupata dalla produzione si estende su circa quattromila ettari, dei quali – al 2005 – meno di trecento sono iscritte al sistema IGP, coinvolge tutte le province della Regione Campania; i mercati di destinazione sono prevalentemente ubicati in ambito regionale, nel Lazio; un terzo della produzione raggiunge la distribuzione piemontese, toscana e lombarda.

La produzione della melannurca richiede fasi di lavorazione e cura piuttosto laboriose: la raccolta dei frutti avviene a metà settembre, quando sono acerbi – per evitare che la caduta al suolo dagli alberi li danneggi – vengono esposti al sole per quindici giorni, poi girati e deposti su un letto di paglia ottenuta dagli scarti della trebbiatura. Ogni filare di mele è delimitato da scolatoi laterali per far defluire l’acqua che potrebbe trasudare intorno ai frutti.

Le aziende di produzione della melannurca sono disseminate su tutto il territorio regionale, spesso di piccole dimensioni: quelle tradizionali appartengono all’area vesuviana e flegrea. Esiste anche un prezioso documento dell’Istituto Luce che mostra la raccolta e lavorazione a Casoria nel Novembre del 1934.

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